Nelle fabbriche pakistane fornitrici dei grandi marchi si verificano regolarmente incidenti e violazioni mortali in materia di sicurezza come emerge da una recente ricerca della Clean Clothes Campaign. È necessario estendere immediatamente al Pakistan l’Accordo internazionale sulla salute e la sicurezza nell’industria tessile e dell’abbigliamento, come chiedono i sindacati dei lavoratori e delle lavoratrici tessili del Paese fin dal 2018. Tutti i marchi che non hanno ancora firmato l’Accordo, tra cui Levi’s, Gap e Kontoor (Lee, Wrangler), devono farlo immediatamente per proteggere i lavoratori delle loro filiere.

Le violazioni riportate in questo documento sono solo un’istantanea di quanto accade nelle fabbriche pakistane. A causa della mancanza di controlli efficaci e della scarsa attenzione riservata dai media, molti incidenti, anche mortali, restano inosservati e nascosti.

Solo negli ultimi 20 mesi ci sono stati oltre 35 incidenti nelle fabbriche fornitrici sia di marchi firmatari dell’Accordo per il Bangladesh che di brand che ancora non lo hanno sottoscritto. La maggior parte dei problemi a livello di fabbrica menzionati in questa ricerca avrebbero potuto essere facilmente individuati e risolti se fosse esistito un programma come l’Accordo internazionale, che è giuridicamente vincolante. Nato nel 2013 come risposta diretta al crollo del Rana Plaza in Bangladesh, non è ancora mai stato esteso al Pakistan, nonostante solo un anno prima si fosse verificato proprio qui l’incendio più mortale mai avvenuto in una fabbrica di abbigliamento in tutto il mondo (incendio alla Ali Enterprise, oltre 250 morti).

A distanza di dieci anni, finalmente ci si sta avvicinando all’avvio di un programma pakistano nell’ambito dell’Accordo internazionale. Tuttavia, restano da superare due grandi ostacoli. Innanzitutto, il lancio del programma non è ancora ufficiale  e questo getta i lavoratori in una situazione di enorme incertezza. In secondo luogo, sebbene vi sia consenso tra le parti interessate sul fatto che non possa essere una copia esatta di quello del Bangladesh, i parametri del nuovo accordo devono ancora essere decisi. 

La Clean Clothes Campaign chiede che tali parametri siano definiti in base alle esigenze dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali. Una coalizione di sindacati pakistani e di organizzazioni per i diritti dei lavoratori ha già formulato una proposta di come dovrebbe essere riformulato l’Accordo nazionale pakistano perché sia efficace in questo specifico contesto. Essa esorta tutte le parti interessate a tenere conto delle esigenze dei lavoratori pakistani nella formulazione dei contenuti del programma e nell’avvio delle operazioni all’inizio del prossimo anno.    

Nasir Mansoor, Segretario generale della Federazione nazionale dei sindacati pakistani, afferma: “Gli incidenti di fabbrica evidenziati dai lavoratori in Pakistan dimostrano quanto sia urgente l’espansione dell’Accordo. I lavoratori meritano di sentirsi sicuri e protetti quando si recano al lavoro, e l’Accordo dovrebbe iniziare le sue attività entro la fine dell’anno. L’Accordo del Pakistan dovrebbe proteggere i lavoratori delle fabbriche di abbigliamento, degli stabilimenti tessili e dei piccoli luoghi di lavoro informali. Comprendiamo che ispezionare tutte le unità richiederà tempo, ma tutti i lavoratori dovrebbero avere il diritto di presentare reclami se sono in pericolo fin dall’inizio del programma”.

Zehra Khan, Segretario generale della Home Based Women Workers Federation in Pakistan, afferma: “Per noi sindacati uno dei principi più importanti dell’Accordo è la condivisione paritaria del potere. Secondo l’Accordo del Pakistan, i lavoratori e le aziende dovrebbero avere la stessa quantità di potere. In questo modo possiamo confidare che l’organizzazione sia veramente indipendente e che renda i luoghi di lavoro sicuri in modo credibile e trasparente per tutti i lavoratori della filiera dell’abbigliamento”.

Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti in Italia, afferma: “Con la legislazione sulla due diligence stabilita in diversi Paesi europei e in via di sviluppo in molti altri, i marchi non possono più permettersi di rimandare. Sanno che viene fatto del male ai lavoratori della loro catena di fornitura, e ogni giorno in cui l’Accordo non è ancora operativo è un altro giorno in cui le vite dei lavoratori sono a rischio.”