La Campagna Abiti Puliti accoglie con cautela la proposta sulla due diligence aziendale sostenibile che la Commissione Europea (CE) ha pubblicato ieri dopo diversi mesi di ritardo. Sebbene crediamo che l’introduzione generale di un obbligo vincolante per le aziende di effettuare la due diligence sui diritti umani e sull’ambiente sia un importante passo avanti, la proposta resta al di sotto delle nostre raccomandazioni su alcuni aspetti chiave. Chiediamo al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea, chiamati ora a negoziare un testo finale, di accogliere le nostre proposte con l’obiettivo di migliorare concretamente le condizioni dei lavoratori e degli altri titolari di diritti.

Bene l’inclusione esplicita della libertà di associazione e di contrattazione collettiva, del salario vivibile e della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro tra gli impatti sui diritti umani che le aziende dovranno affrontare.

Così come consideriamo positivo, anche se con serie riserve, la possibilità di ritenere le aziende responsabili dei danni ai diritti umani nelle loro catene di valore. Esortiamo il Parlamento europeo e il Consiglio a rafforzare ulteriormente la responsabilità delle imprese e l’accesso delle vittime alla giustizia. Alle aziende non deve essere permesso di trasferire la loro responsabilità lungo la catena del valore attraverso i contratti o di sfuggire alla piena responsabilità in qualsiasi altro modo. Chiediamo inoltre che vengano smantellate le barriere che le vittime affrontano nelle controversie transnazionali

L’incendio mortale della Ali Enterprises in Pakistan è un tragico esempio di ciò che è in gioco: la società di revisione italiana R.I.N.A. aveva certificato come sicura una fabbrica di indumenti solo poche settimane prima dell’incendio in cui morirono oltre 250 persone. Con una direttiva efficace, le famiglie delle vittime avrebbero potuto ottenere giustizia, anche nei confronti dell’Auditor R.I.N.A. Invece al momento c’è il vuoto pneumatico intorno alle vittime. Persino una interrogazione parlamentare depositata a dicembre nei confronti del Ministero dei Trasporti (che indirettamente controlla RINA) non ha ancora ricevuto risposta e, a distanza di un decennio, le famiglie delle vittime devono ancora lottare per avere piena giustizia”, ha dichiarato Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti.

Tra gli aspetti negativi della proposta, invece, segnaliamo innanzitutto la scelta di applicare la direttiva solo ad aziende di grandi dimensioni, con più di 150 milioni di fatturato e 500 dipendenti, che diventano 40 milioni di fatturato e 250 dipendenti se attive nei settori ad alto rischio – come il tessile, l’abbigliamento e le calzature –  ma con un’ulteriore limitazione al solo “impatto negativo grave”. Un’indicazione in contrasto con i principali standard internazionali accreditati, quali i Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti umani. La Campagna Abiti Puliti chiede che tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione o struttura aziendale, siano coperte dalla legislazione.

Con riferimento al settore tessile, queste soglie minime sono molto deludenti e costituiscono una scappatoia per le numerosissime piccole e medie imprese attive in questo settore. I dirigenti delle imprese di moda che alimentano le catene globali di fornitura, potranno continuare ad operare senza una reale responsabilità per le violazioni dei diritti umani che avvengono ordinariamente nelle fabbriche in tutto il mondo. È una pessima notizia per molti dei lavoratori e lavoratrici che producono abbigliamento, calzature e accessori venduti nei negozi europei“, ha detto Neva Nahtigal della Clean Clothes Campaign.

Un’altra area chiave in cui i co-legislatori dell’UE hanno bisogno di mettere fermamente al centro i titolari di diritti è l’applicazione delle regole proposte al di là dei fornitori diretti. La Clean Clothes Campaign ha sempre sottolineato che i sistemi di lavoro semi-formali e informali, così come il subappalto non ufficiale e il lavoro a domicilio devono essere presi in considerazione in tutte le misure di regolamentazione.

La proposta ha aperto un buon percorso che dovrà essere rafforzato per assicurare che tutti i lavoratori siano protetti. Molti dei più gravi abusi dei diritti umani, tra cui il lavoro forzato e il furto di salario, si verificano più in basso nella catena del valore” ha detto Muriel Treibich di Clean Clothes Campaign, notando anche l’impegno per una nuova iniziativa legislativa che vieta l’immissione sul mercato dell’UE di prodotti realizzati con lavoro forzato, annunciato lo stesso giorno nella “Comunicazione sul lavoro dignitoso a livello mondiale per una transizione globale giusta e una ripresa sostenibile”.

Con questa proposta, l’Unione Europea ha un’occasione irripetibile per regolamentare la condotta delle aziende che hanno causato o sono collegate a violazioni dei diritti umani in tutto il mondo, proteggendo molti milioni di persone che fabbricano i prodotti che noi cittadini europei usiamo quotidianamente. Tra le altre cose, i legislatori devono garantire che le aziende adattino le loro pratiche di acquisto. Questo non è possibile senza la mappatura della catena del valore e la tracciabilità che, insieme alla trasparenza, devono diventare uno dei fondamenti obbligatori della due diligence in generale“, ha detto Muriel Treibich.

La Campagna Abiti Puliti invita il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea a cogliere questa opportunità e ad adottare una legislazione che risponda adeguatamente alle sfide fondamentali e alle disuguaglianze strutturali delle catene del valore di oggi.

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