Grazie all’intensa campagna di pressione End Uyghur Forced Labour, lanciata nel luglio del 2020 e condotta da oltre 300 organizzazioni nel mondo tra cui la Campagna Abiti Puliti, OVS, noto marchio italiano della moda internazionale, ha finalmente sottoscritto l’impegno pubblico a dismettere gli approvvigionamenti dallo Xinjang e uscire dalla regione uigura.

OVS ci ha comunicato di non avere fornitori in quella zona, considerando che il cotone da loro utilizzato, prevalentemente organico, proviene da altri paesi o dalla Better Cotton Initiative, che ha sospeso da tempo tutte le licenze ai coltivatori dello Xinjiang.

È un passo significativo per i diritti del popolo uiguro: da 1 a 3 milioni di persone internate dal governo cinese in campi di lavoro forzato in cui si stima venga prodotto circa un quinto del cotone utilizzato dai marchi della moda su scala mondiale. Indottrinamento, rieducazione, torture, violenze, sterilizzazione forzata e vera e propria schiavitù sono alcune delle pratiche utilizzate per opprimere la popolazione uigura e sfruttarla illecitamente come forza lavoro gratuita alla raccolta del cotone e alla produzione di abbigliamento di cui si avvalgono i marchi internazionali.

Da mesi ormai le organizzazioni di difesa dei diritti umani chiedono alle aziende di assumersi pubblicamente l’impegno di disinvestire dalla regione autonoma uigura dello Xinjiang. Diversi governi del G7 (fra cui il Canada e gli Stati Uniti) hanno condannato la politica cinese nella regione e anche il Pontefice ha espresso preoccupazione. Per la prima volta in 30 anni, il 22 marzo anche l’Unione europea ha imposto sanzioni economiche su alcuni ufficiali cinesi a causa del trattamento inumano riservato agli Uiguri. Se il mondo della politica ha fatto dei timidi passi avanti, quello dell’economia non vuole sentire ragioni: sono ancora pochi i marchi che hanno preso le distanze dalla Regione e, dal momento che la situazione degli Uiguri è ormai nota da anni, ignorarla volutamente è diventato inaccettabile. Per salvare la popolazione uigura servono condotte di impresa coerenti basate sui fatti, con posizioni nette contrarie al lavoro forzato. Marchi come Zara, Nike e Apple possono e devono agire concretamente privilegiando la vita e la dignità degli uiguri rispetto al mantenimento di produzioni provenienti da filiere alimentate da lavoro forzato. Le imprese non devono soccombere alle pressioni degli internauti cinesi che in queste ore hanno scatenato una bufera contro i marchi che avevano dichiarato il disimpegno commerciale dalla regione dello Xinjang, minacciando di boicottarli. Sul lavoro forzato non posso esserci compromessi e le imprese sono oggi chiamate a scegliere da che parte stare: i diritti umani o gli interessi commerciali.

L’84% del cotone prodotto in Cina viene dalla regione uigura, il 20% della produzione mondiale: un abito in cotone su 5 è prodotto con l’uso di lavoro forzato. Chiediamo a marchi e distributori tessili di abbandonare definitivamente la regione uigura ad ogni livello della loro catena di fornitura, dall’approvvigionamento del cotone all’importazione di prodotti finiti, ponendo fine ai rapporti con i fornitori che supportano il sistema del lavoro forzato. E’ innegabile che le imprese multinazionali abbiano un potere enorme. Ebbene, esse hanno anche la responsabilità di adottare qualsiasi misura possibile per adempiere agli obblighi di responsabilità aziendale e di rispetto dei diritti umani così come stabilito dai Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

Ci auguriamo che l’adesione di OVS all’impegno per lasciare la regione uigura convinca gli altri marchi che ancora non hanno fatto passi pubblici concreti a fare altrettanto. Questo primo importante risultato rinvigorisce lo sforzo della coalizione internazionale e ci motiva a continuare la pressione: il lavoro forzato è una condizione che fa orrore e che nessuno (consumatori, produttori, politici) può accettare né fingere di non vedere” ha dichiarato Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti.

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