Il governo del Bangladesh propone un nuovo salario minimo di 12.500 BDT (105 euro) al mese, ignorando le richieste disperate dei lavoratori.
Martedì 7 novembre, il ministero del Lavoro del Bangladesh ha proposto un nuovo salario minimo per i 4,4 milioni di lavoratori e lavoratrici tessili del Paese, pari a 12.500 BDT (105 euro). L’importo è di gran lunga inferiore alla richiesta sindacale di 23.000 BDT, un salario che gli studi confermano essere il minimo necessario per assestarsi al di sopra della soglia di povertà.

Il nuovo salario minimo condannerebbe ancora una volta i lavoratori a una lotta per la sopravvivenza: dovrebbero continuare a fare affidamento sui guadagni ottenuti con turni extra (oltre alle normali 48 ore settimanali), sui prestiti e sul fatto di saltare i pasti per risparmiare. I salari miseri sono anche il motivo principale per cui i genitori si trovano talvolta costretti a chiedere ai figli di lavorare.

Il processo di determinazione dei salari, estremamente poco trasparente e parziale, è stato portato a termine dopo settimane di disordini. I lavoratori di tutto il Paese hanno iniziato a protestare dopo che il mese scorso la BGMEA aveva proposto di aumentare il salario minimo ad appena 10.400 BDT. Almeno 3 lavoratori sono stati uccisi durante le proteste, mentre decine sono rimasti feriti a causa delle violenze da parte della polizia con gas lacrimogeni, proiettili di gomma e munizioni vere. Sono state avviate cause contro i lavoratori che hanno protestato, sollevando serie preoccupazioni per gli arresti repressivi. L’annuncio di ieri potrebbe scatenare ulteriori disordini nella capitale.

I proprietari delle fabbriche del Bangladesh affermano di non potersi permettere un salario minimo superiore a 12.500 BDT, e alcuni sostengono che questo salario potrebbe addirittura mettere fuori mercato alcuni sub-fornitori. Sono gli acquirenti – i marchi internazionali della moda – a dettare i prezzi nel settore. In linea di principio, i loro prezzi di acquisto dovrebbero sempre consentire ai proprietari delle fabbriche di pagare ai lavoratori un salario dignitoso. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i prezzi pagati dai marchi sono appena sufficienti a pagare i salari minimi di povertà.

Nonostante i numerosi appelli della Clean Clothes Campaign affinché gli acquirenti internazionali appoggiassero esplicitamente la richiesta sindacale di un salario minimo di 23.000 BDT e assicurassero ai fornitori che avrebbero aumentato i loro prezzi in base all’aumento del costo del lavoro, tutti i marchi, tranne uno, si sono rifiutati di farlo*.

Molti marchi che si riforniscono in Bangladesh, tra cui H&M, Next, C&A, Uniqlo e M&S, si sono impegnati da tempo a rispettare il salario dignitoso. Tuttavia, nel momento più cruciale in cui avrebbero potuto usare la loro grande influenza per garantire che i loro lavoratori non vivano in povertà, non hanno agito, dimostrando l’inconsistenza dei loro impegni in materia di salario dignitoso.

Il Primo Ministro non ha ancora implementato il nuovo salario. Spetta ora a questi marchi garantire che i lavoratori della loro catena di fornitura guadagnino almeno 23.000 BDT, che non è ancora un salario dignitoso, ma il minimo indispensabile per sbarcare il lunario.

I sindacati del Bangladesh, proprio come cinque anni fa, hanno sollevato aspre critiche sull’integrità del processo di determinazione dei salari. Chiedono revisioni annuali, anziché una volta ogni cinque anni, e che il referente dei lavoratori nel comitato salariale sia scelto tra i sindacati più rappresentativi. In questa e nelle precedenti trattative, denunciano, questa norma è stata disattesa nominando un referente “favorevole” agli interessi dei datori di lavoro e del governo. Infine, fanno notare come la loro proposta di 23.000 BDT sia coerente con i criteri previsti dalla legge sul lavoro del Paese (il Bangladesh Labor Act) e dagli standard internazionali (la Convenzione 131 dell’OIL sulla determinazione del salario minimo), diversamente dalla proposta dei datori di lavoro.

* Patagonia è stato l’unico marchio a sostenere esplicitamente la richiesta sindacale di 23.000 Taka, ma non si è impegnata ad aumentare i prezzi che avrebbe pagato al suo fornitore. Altri marchi hanno appoggiato vagamente le richieste di aumento dei salari, ma si sono rifiutati di sostenere esplicitamente la richiesta sindacale di 23.000 Taka o di impegnarsi ad aumentare i prezzi di acquisto.