In una nota pubblicata questa settimana, i firmatari in qualità di testimoni dell’Accordo per la prevenzione degli incendi e sulla sicurezza degli edifici in Bangladesh esprimono la loro preoccupazione per l’effettiva possibilità che questo programma possa continuare a funzionare in maniera efficace.

Il Ready-Made-Garment Sustainability Council (RSC), che dal Giugno 2020 ha preso in carico attività e competenze dell’Accordo, non è stato ancora in grado di dimostrare di poter garantire in modo credibile che i firmatari ne rispettino gli obblighi.

Nel 2013, poche settimane dopo il crollo del Rana Plaza, marchi, distributori, sindacati globali e locali hanno stipulato una prima versione dell’Accordo vincolante per rendere più sicure le fabbriche di abbigliamento del Bangladesh, notoriamente pericolose. Nel 2018, alla scadenza, tale intesa è stata sostituita da un nuovo patto, sempre vincolante, ma subito minato da procedimenti giudiziari avviati da un proprietario di una fabbrica scontento e sostenuti dal governo e dall’associazione dei datori di lavoro dell’abbigliamento del Bangladesh. Nel maggio 2019, è stato deciso che l’Accordo avrebbe trasferito le sue funzioni a una nuova organizzazione locale, l’RSC. Sebbene quest’ultima sia stata istituita per essere, in futuro, l’agente esecutivo incaricato di assistere i marchi nell’adempimento dei loro obblighi, non è mai stato concordato che avrebbe sostituito l’Accordo, che pertanto resta in vigore e invariato almeno fino al 2021.

Nel frattempo, è arrivata la pandemia di Covid-19 che, di fatto, ha ostacolato questa transizione. Gli appelli dei difensori dei diritti dei lavoratori e della sicurezza a rinviare il processo sono stati ignorati, portando a un passaggio frettoloso e sconsiderato verso un organismo che non era preparato ad adempiere alle sue responsabilità immediate per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori. Addirittura l’RSC ha iniziato a operare il 1° giugno senza che i vertici dell’organizzazione si fossero ancora insediati.

I quattro firmatari, in qualità di testimoni dell’Accordo – Clean Clothes Campaign, International Labour Rights Forum / Global Labour Justice, Maquila Solidarity Network e Worker Rights Consortium – temono che questa transizione affrettata e l’influenza dei datori di lavoro sul programma minino il progresso verso la sicurezza delle fabbriche in Bangladesh.

Timori, peraltro, aggravati dal ritardo nel raggiungimento di un’intesa tra il segretariato dell’Accordo ancora in vigore con sede nei Paesi Bassi, e l’RSC, per monitorare il rispetto degli obblighi contrattuali. Le preoccupazioni si concentrano in particolare su clausole vitali per la credibilità e l’efficacia dell’Accordo stesso, come il proseguimento con successo del meccanismo di reclamo per i problemi sulla sicurezza, l’impegno per la trasparenza e solidi meccanismi di applicazione, la rapida riparazione dei rischi e l’avvio di un programma di sicurezza per le caldaie.

Le nostre organizzazioni si augurano vivamente che l’RSC abbia successo nell’adempiere agli obblighi delineati nell’Accordo e continueranno a monitorare e pubblicare aggiornamenti sui progressi del suo lavoro. Se entro la fine di novembre 2020, sei mesi dopo che ha assunto le proprie funzioni, l’RSC non avrà fugato queste preoccupazioni, le organizzazioni raccomanderanno ai firmatari di individuare un altro organismo per garantire il rispetto degli obblighi contrattuali e rendere sicure le fabbriche del Bangladesh.

L’Accordo è il miglior esempio nell’industria globale dell’abbigliamento di come le aziende, i lavoratori e le parti interessate della società civile possano unirsi e apportare cambiamenti significativi attraverso un impegno vincolante, credibile e trasparente. Gli elementi di questo successo storico devono essere preservati in futuro per evitare che i lavoratori siano nuovamente esposti a rischi mortali.

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