MDG-Rana-Plaza-Bangladesh-008Nuove prove a carico di Benetton sono state rinvenute tra le macerie del Rana Plaza, l’edificio di otto piani crollato lo scorso 24 aprile a Savar, sobborgo di Dhaka in Bangladesh. Questa volta si tratta di due documenti che dimostrano come il 23 marzo 2013 la New Wave, una delle fabbriche presenti nell’edificio, stesse ancora producendo capi per l’azienda italiana.

In particolare sono stati ritrovati un ordine e una relazione finaleche sottolinea alcuni difetti in una consegna di t-shits da donna. L’ordine è stato fatto attraverso un’altra azienda, la Shahi Exports PVT, fatto che evidenzia la complessa articolazione delle filiere produttive internazionali e che impone alle aziende committenti la responsabilità di conoscere, valutare e monitorare tutta la catena produttiva dal punto di vista degli impatti sociali e dei diritti effettivamente garantiti.

“Resta sconcertante che a distanza di dieci giorni dalla tragedia Benetton rilasci dichiarazioni in cui non fa alcun passo avanti nella concreta direzione di dare sostegno alle vittime e affrontare i problemi strutturali che affliggono il sistema produttivo da cui si rifornisce” dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti. “E’ un problema dell’azienda se non conosce a fondo la sua catena produttiva e questo testimonia quanto debole sia il sistema di monitoraggio adottato in materia di diritti umani. Ora ci troviamo di fronte a documenti e etichette che dimostrano il loro coinvolgimento continuativo: è giunto il momento che facciano la loro parte collaborando con i sindacati e le organizzazioni a difesa dei diritti umani”.

Nello specifico, la Campagna Abiti Puliti (sezione italiana della Clean Clothes Campaign) chiede a Benetton:

  • l’impegno a recarsi in Bangladesh, stabilendo un contatto diretto con Abiti Puliti e i sindacati locali per fornire immediato supporto alle vittime della tragedia che hanno bisogno di cure, cibo e assistenza;
  • l’impegno a contribuire al fondo di risarcimento negoziato con i sindacati bengalesi e IndustryALL – la federazione internazionale dei sindacati tessili – in base a criteri equi e secondo una lista   trasparente che elenchi tutte le vittime e i feriti.  La cifra totale, secondo le prime stime, non potrà essere inferiore ai 30milioni di dollari, per risarcire le vittime o le famiglie dei deceduti, per gli stipendi mancati per l’intero ciclo di vita e i danni psicologici subiti. Sono esclusi i costi dell’assistenza medica per centinaia di feriti.
  • impegno a siglare il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement, unprogramma specifico di azione che include ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza per rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori;

Nel frattempo è stata lanciata una petizione online per chiedere a tutte le aziende impegnate in Bangladesh di sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement, al fine di ridurre enormemente il pericolo che altre tragedie del genere possano verificarsi.