Inchiesta svolta in 7 fabbriche bengalesi.
La sabbiatura abolita solo a parole.

Schermata 2014-07-24 alle 15.17.39Dopo la condanna ufficiale del sandblasting come tecnica di schiaritura dei jeans da parte di molti marchi internazionali del mondo della moda, la Campagna Abiti Puliti ha deciso di verificare sul campo le parole delle imprese, mandando alcuni ricercatori dell’AMRF in 7 fabbriche bengalesi per intervistare 73 lavoratori, di cui oltre la metà addetti alla sabbiatura.

I risultati dell’inchiesta sono allarmanti: in nessuno dei 7 stabilimenti la sabbiatura è stata definitivamente abolita, qualunque siano state le istruzioni dei committenti, e spesso viene eseguita di  notte in modo da non dare nell’occhio. I principali marchi identificati sono H&M, Levi’s, C&A, D&G, Esprit, Lee, Zara e Diesel, la totalità dei quali, ad eccezione di Dolce e Gabbana che ha sempre rifiutato di fornire informazioni sulle sue tecniche produttive, sostiene di avere abolito l’uso della sabbiatura nelle proprie filiere internazionali.

I comunicati stampa ufficiali non bastano, servono le azioni concrete che finora nessun marchio ha ancora messo in campo: le ispezioni sono rare e solo in queste occasioni gli addetti vengono muniti di dispositivi di sicurezza individuale; per il resto del tempo si opera senza precauzioni in ambienti saturi di polveri ad alto tenore di silice. Persino l’adozione del più semplice dei mezzi preventivi, l’uso di sabbia importata a basso contenuto di silice, viene totalmente omessa nella maggior parte delle fabbriche. In alcuni stabilimenti si è passato dalla sabbiatura manuale a quella meccanica, ma, essendo effettuata in ambienti aperti e in assenza di dispositivi di sicurezza adeguati, il livello di pericolosità è rimasto identico. Nessun tipo di formazione per i lavoratori e, soprattutto, per i medici, è stata realizzata, precludendo la possibilità di cure tempestive in caso di malattia. Il quadro si chiude con esempi evidenti di conflitti di interesse di aziende di abbigliamento facenti parte di gruppi che controllano organi di informazione e strutture sanitarie.

“La situazione è molto grave” dichiara Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti, “ al contrario di quanto sostengono pubblicamente, i marchi non sono disposti a modificare lo stile dei loro prodotti o a modificare i tempi e costi di produzione per permettere ai fornitori di adottare metodi alternativi che comportano lavorazioni più sicure, con il risultato di continuare a incentivare l’uso, clandestino o alla luce del sole, della sabbiatura.” “Ormai è noto da anni il rischio professionale di contrarre la silicosi per migliaia di lavoratori tessili ” continua Lucchetti, “ le imprese devono fare di più per eliminare definitivamente l’uso della tecnica potenzialmente fatale”

A questo punto la Campagna Abiti Puliti chiede ai marchi di rendere conto pubblicamente di questa contraddizione, di fronte ad una campagna che ha visto nel corso dei mesi aumentare il sostegno di consumatori consapevoli e attenti alla sostenibilità dei prodotti che acquistano. Inoltre chiede che:

–          I marchi mettano in atto adeguati meccanismi di monitoraggio per accertare l’effettiva cessazione dei trattamenti con sabbiatura in collaborazione con le organizzazioni sindacali locali/di fabbrica e le organizzazioni non governative in Bangladesh e in ogni paese dal quale si riforniscono; modifichino il design dei prodotti per eliminare all’origine la possibilità di utilizzo della sabbiatura;

–          I marchi collaborino con i propri fornitori affinché tutti i lavoratori che sono stati esposti a polveri di silice, per qualunque tipo di mansione, siano sottoposti a sorveglianza sanitaria e a diagnosi precoce, provvedendo a fornire cure mediche e  indennizzi a coloro che risultano aver già contratto la silicosi;

–          I governi adottino misure di legge che vietino la sabbiatura sul proprio territorio e assistano coloro che hanno già contratto la silicosi;

–          l’Unione Europea metta in atto misure per vietare l’importazione di jeans sabbiati;

–          l’Organizzazione internazionale del Lavoro e l’Organizzazione Mondiale della Sanità inseriscano la filiera del jeans nei programmi volti a sradicare la silicosi a livello mondiale, istituiscano un programma specifico per il Bangladesh e istruiscano indagini volte a cancellare definitivamente questo tipo di lavorazione anche all’interno dei confini europei.

I risultati dell’inchiesta presentata in questo rapporto evidenziano che non è sufficiente limitarsi al semplice annuncio della messa al bando dei trattamenti incriminati. Al contrario, i marchi devono dimostrare che producono capi in tessuto denim solo in siti produttivi che non fanno ricorso a nessun tipo di sabbiatura, anche attraverso test specifici che finora nessuno di loro ha ancora effettuato.

                                                          

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