Come sindacalisti, attivisti e organizzatori di campagne del settore dell’abbigliamento impegnati contro l’ingiustizia, il razzismo e l’illegittimità del colonialismo, non accettiamo di stare in disparte e assistere inermi alla brutalità attuata dal colonialismo occupante.  E’una questione di diritto alla terra e di autodeterminazione.

La colonizzazione della Palestina da parte di Israele è avvenuta, e continua ad avvenire, per mezzo dell’apartheid, della pulizia etnica e del genocidio.

PERCHÉ QUESTO TEMA RIGUARDA L’INDUSTRIA DELLA MODA?

Lo sfruttamento nel settore dell’abbigliamento affonda le proprie radici in pratiche affaristiche che si basano sul lavoro non pagato in tutto il Sud globale. Il che perpetua l’eredità coloniale che si fonda sulla costante estrazione di ricchezza da parte del capitale a spese delle comunità che non hanno la pelle bianca.

Le pratiche di sfruttamento attuate nell’industria dell’abbigliamento in Palestina illustrano chiaramente la dura realtà dei lavoratori sotto occupazione israeliana. Le industrie manifatturiere di Israele appaltano la produzione a Gaza dove i lavoratori sono pagati molto meno dei loro colleghi israeliani di pari qualifica. Le industrie manifatturiere israeliane approfittano dell’alto tasso di disoccupazione presente a Gaza, per costringere i lavoratori ad accettare qualsiasi salario e qualsiasi condizione di lavoro.

Il che mostra come nell’industria dell’abbigliamento la questione razziale sia intrinsecamente connessa al capitalismo e come esso operi attraverso metodi coloniali. Le imprese israeliane traggono profitti dal crollo dei salari dei palestinesi e dalla loro condizione di popolo sottomesso

L’attività tessile della Palestina, un tempo fiorente, è stata duramente colpita dalle pratiche messe in atto dall’occupazione. Fra le tante difficoltà citiamo i ritardi nelle consegne dovute agli innumerevoli posti di blocco nei territori occupati, mentre l’assedio in corso a Gaza impedisce l’approvvigionamento di semilavorati e la fornitura di energia elettrica.

Di conseguenza, per poter sopravvivere, i proprietari dei laboratori sono costretti a fare scelte pesanti, compresa la riduzione dei salari. A tutto vantaggio dei marchi committenti che traggono beneficio dalla colonizzazione della Palestina attraverso pratiche illegittime come:

  1. L’approvvigionamento di prodotti finiti presso laboratori situati nei territori sequestrati e occupati illegalmente;
  2. L’apertura di negozi a marchio proprio su territori sequestrati e occupati illegalmente;
  3. La stipula di contratti che danno legittimità alla nascita di nuovi insediamenti illegali nel territorio palestinese (vedi ad esempio la pagina del movimento BDS su PUMA)

Aderendo alle richieste di solidarietà internazionale lanciate dai Palestinesi di Gaza, e non solo, chiediamo:

  1. Un immediato cessato il fuoco e la fine dei bombardamenti di Gaza;
  2. Il ripristino immediato delle forniture a Gaza, dei beni essenziali e degli aiuti umanitari;
  3. La fine degli ordini di evacuazione degli ospedali di Gaza da parte di Israele;
  4. La cessazione dell’invasione di Gaza;
  5. La fine delle esportazioni di armi e di tecnologie militari, nonché del sostegno economico ad Israele da parte dell’Occidente;
  6. La fine dell’occupazione illegale della Palestina.

In risposta all’appello lanciato dai sindacati Palestinesi che chiedono di intraprendere un’azione internazionale contro le imprese che si rendono complici dell’assedio brutale e illegale di Israele, noi ci impegniamo a:

  1. Prendere posizione pubblica e agire contro le imprese della moda che profittano dell’occupazione israeliana in Palestina;
  2. Prendere posizione pubblica e agire contro la produzione, trasporto e gestione di vestiario destinato al personale Israeliano impegnato nell’occupazione della Palestina, in particolare divise per poliziotti e guardie carcerarie.