ranaplaza_2549757b834 corpi restituiti alle famiglie, di cui 371 donne. Ma i morti sono molti di più, 1.133 secondo le stime ufficiali. 
In parole povere, migliaia di lavoratori hanno perso la vita o sono rimasti gravemente feriti per produrre abbigliamento per noi, consumatori europei e statunitensi, spesso ignari delle condizioni di sfruttamento e dei pericoli che si possono correre in fabbrica. 
Non pare forse reale o possibile ai nostri occhi che oggi si possa morire di lavoro per cucire vestiti, eppure accade e non si tratta di fatti casuali o isolati. 
La lista dei marchi internazionali che si rifornivano direttamente o tramite agenti al Rana Plaza e alla Tazreen è lunga e comprende pezzi da novanta come Walmart, Mango, Benetton, C&A, El Corte Ingles, Kik, Walt Disney, oltre alle altre italiane Piazza Italia, Manifattura Corona e Yes Zee. Segno di una industria dinamica e in crescita che deve oggi la sua fortuna principalmente alle commesse estere e alla compressione dei costi, anche quelli della sicurezza. Ma la tragedia del Rana Plaza, l’ultima di una lunga serie in Bangladesh, è stata troppo grande per essere rapidamente cancellata. 
Grazie alla forte mobilitazione internazionale di sindacati e società civile, è stato siglato un accordo storico per la prevenzione degli incendi e la sicurezza che prevede ispezioni indipendenti negli edifici, informazione pubblica, l’obbligo di revisione strutturale degli edifici, oltre all’obbligo per i marchi internazionali di sostenere i costi. L’obiettivo ambizioso è infatti rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori. Ma non basta.
Le vittime del Rana Plaza e della Tazreen attendono ancora un giusto risarcimento per la perdita dei propri cari, la sofferenza e il dolore vissuti, la perdita di reddito e lavoro. Per questo i sindacati internazionali hanno convocato un incontro a Ginevra i prossimi 11 e 12 settembre, alla presenza dell’ILO, ove discutere con le imprese coinvolte, la definizione di un meccanismo equo e trasparente per il risarcimento effettivo di tutte le vittime, senza alcuna distinzione. Si tratta di 54 milioni di euro per il dramma del Rana Plaza e di 4,3 milioni di euro per la Tazreen. Ad oggi nessuna delle imprese italiane coinvolte ha espresso la volontà di partecipare e così contribuire alla creazione del fondo internazionale. 
Per questo chiediamo con forza a ciascuna di loro di rompere il silenzio e recarsi a Ginevra per contribuire a un processo giusto e necessario. Alcune imprese hanno deciso di accettare l’invito. Mango, Benetton, Piazza Italia, Manifattura Corona e Yes Zee cosa aspettano?

Si tratta della tragedia del Rana Plaza di Dacca che lo scorso 24 aprile ha distrutto le vite di migliaia di famiglie bengalesi impiegate nel palazzo a 8 piani crollato per motivi di sicurezza. Il Rana Plaza ospitava cinque imprese tessili, oltre a diversi negozi. Pochi mesi prima, il 24 novembre alla Tazreen era scoppiato l’ennesimo incendio, che aveva causato 112 morti, sempre lavoratori tessili, sempre al servizio dei mercati internazionali. 

I marchi che hanno confermato la loro partecipazione:
Bonmarché (UK), Camaieu (France), C&A, Elcorteingles, Inditex (Spain), Kik Textilien (Germany), Loblaw (Canada), Mascot, Matalan, Primark (UK), Store Twenty One, Karl Rieker.

 

I marchi che hanno deciso di non assumersi le loro responsabilità:

Benetton, Piazza Italia Store, Manifattura Corona, Essenza, Walmart, Mango, Delta Apparel, Dickies, Disney, Edinburgh Woollen Mill, Lifung, Sean John Apparel, Sears Holding Corporation, Teddy Smith, Adler, Auchan (France), Carrefour (France), Catocorp, Childrensplace, Dressbarn, Fta International, Gueldenfennig, Iconixbrand, JCPenney, Kids Fashion Group, LPP, NKD, Premier Clothing, Texman (Denmark)