IL SALARIO DIGNITOSO È UN DIRITTO UNIVERSALE - Aggiornamento 2024

Una proposta per l'Italia, a partire dal settore moda

Durante l’evento Povertà lavorativa: strumenti per l’emergenza, dall’UE all’Italia, svoltosi ieri a Roma in collaborazione con l’Università Roma Tre, in occasione dei 40 anni del decreto di San Valentino, che pose le basi per l’abolizione della scala mobile, la Campagna Abiti Puliti ha lanciato la scheda di aggiornamento del rapporto “Il salario dignitoso è un diritto universale. Una proposta per l’Italia, a partire dal settore moda” pubblicato lo scorso giugno 2022. 

Povertà e inflazione in Italia aumentano costantemente e alla politica istituzionale sembra non importare. Secondo l’Istat, nel 2022 5,6 milioni di persone in Italia vivevano sotto la soglia di povertà (dato in crescita rispetto al 2021). L’Italia è l’unico paese OCSE in cui i salari diminuiscono anziché aumentare, mentre ad aumentare è solo il costo della vita. Avere un lavoro non mette più al riparo dalla povertà, visto che il 50% delle famiglie in povertà relativa include un lavoratore con un reddito insufficiente a soddisfare i bisogni del nucleo familiare. Una ingiustizia profonda, considerato che nel nostro paese nel 2020 lo stipendio di un manager tra i più pagati era di 649 volte maggiore rispetto allo stipendio di un operaio della stessa azienda.

Ma guadagnare così tanto nemmeno serve: basterebbe potersi guadagnare da vivere con dignità. Secondo la metodologia di calcolo proposta da Clean Clothes Campaign, che si basa sul costo della vita e prende come riferimento per calcolare il salario di base un ménage famigliare anziché individuale, un salario dignitoso per una persona che lavora 40 ore a settimana si attesta a non meno di € 2.000 euro netti al mese (€11,50 netti all’ora). Una crescita di almeno €95 netti mensili rispetto al calcolo di un anno fa che riflette la perdita, inesorabile, di potere d’acquisto. Se questa fosse la soglia per l’individuazione di bassi salari, in Italia avremmo 3 lavoratori su 4 sotto soglia, cioè con un reddito annuale netto al di sotto di 24mila euro.

Lavorare e rimanere poveri è una assurdità e una ingiustizia inaccettabile. Lo è altrettanto ignorare le moltissime e autorevoli voci della società civile, dell’accademia, delle parti sociali che negli anni hanno contribuito allo studio della povertà lavorativa con approfondimenti, analisi e proposte concrete per eliminarla, di cui il salario minimo legale è solo una delle componenti, ma certamente fra le più significative. 

Per questo la mancata approvazione da parte del parlamento italiano di una buona legge sul salario minimo mentre molti CCNL attendono da anni di essere rinnovati o contengono minimi tabellari troppo bassi e persino incostituzionali manda un segnale chiaro: il governo non vuole veramente sconfiggere la povertà. Non vuole progredire. 

E invece l’attuale modello di produzione e consumo, basato su massima compressione dei costi e iper-produzione di merci spesso di scarsa qualità ad alto impatto per le persone, il clima e l’ambiente, come l’industria della fast fashion incarna perfettamente, non funziona più. Campagna Abiti Puliti propone una visione di un paese diverso, in cui una riduzione collettiva degli orari di lavoro, a parità di salario dignitoso di base, migliora la qualità della vita per i lavoratori e l’efficienza per le imprese.

A tal fine è necessario non solo approvare una buona legge nazionale sul salario minimo legale dignitoso, ma anche promuovere una cornice di diritto europea che introduca, a parità di condizioni per tutte le imprese che operano nell’UE, obblighi di verifica di tenuta delle condizioni di lavoro nelle proprie filiere, inclusi i livelli salariali. Mercoledì 21 febbraio è prevista una riunione dei rappresentanti del Consiglio dell’Unione europea sulla Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese in materia di diritti umani e ambiente (la cd. Direttiva Due Diligence o CSDDD) ma, purtroppo anche a causa della posizione ambigua e mutevole del governo italiano, l’approvazione della norma è a rischio. Le argomentazioni contro la direttiva sono tuttavia pretestuose: si veda questa pagina di approfondimento che smonta punto per punto le fallaci argomentazioni contro la direttiva CSDDD. L’accordo politico era stato raggiunto dal Consiglio UE e dal Parlamento Europeo il 14 dicembre 2023. Venerdì 9 febbraio tale accordo avrebbe dovuto essere ratificato dagli Stati Membri ma il voto è stato rinviato per permettere alla presidenza di turno belga di trovare una soluzione all’astensione dichiarata dalla Germania e a quella ventilata dall’Italia. Per questo FAIR/Campagna Abiti Puliti, insieme alle organizzazioni riunite nella campagna Impresa2030 – Diamoci un regolata, chiede al governo italiano e in particolare ai Ministri competenti, Giorgetti e Urso, di mantenere l’impegno politico già negoziato e di non perdere questa opportunità storica. Non si tratta solo di regole comuni ma anche di tutela del tessuto produttivo italiano: le PMI si trovano spesso a dover subire contratti predatori e pratiche commerciali che possono indurre violazioni dei diritti umani, dei diritti del lavoro e dell’ambiente. La direttiva si preoccupa di prevenire e gestire tali dinamiche, chiedendo alle aziende di grandi dimensioni di rivedere le clausole contrattuali più vessatorie in questo senso.