Il caso A-One è ancora più urgente date le recenti proteste dei lavoratori avvenute in Bangladesh che hanno messo in luce la situazione disperata del settore tessile nel paese.  Il caso mostra quanto la legge, le autorità locali e gli imprenditori stiano ostacolando il miglioramento delle condizioni di lavoro. Vi chiediamo di dedicare attenzione a questa storia e di entrare in azione, dalla parte dei lavoratori della A-One e dalla parte dei lavoratori del settore tessile in genere.

Vi descriviamo i fatti e la storia in dettaglio, convinti che questo caso emblematico serva a richiamare l’attenzione su tutte le imprese che si riforniscono in Bangladesh. Di fatto questo caso riguarda la libertà di associazione e l’efficacia della legge in Bangladesh.

Legittimi rappresentanti dei lavoratori, onestamente eletti secondo la legge, le regole e i regolamenti stabiliti dall’Autorità del Governo del Bangladesh e delle Zone Speciali per l’Esportazione (Government of Bangladesh and Export Processing Zone Authority – BEPZA), sono stati licenziati in maniera illegale. Se questo può accadere senza conseguenze, ciò comporta implicazioni gravi non solo per questo caso, ma per l’applicazione della legge in altri casi nelle EPZ e fuori dalle zone speciali E genera seri dubbi sulla credibilità dei codici di condotta delle imprese, che richiamano al pieno rispetto delle convezioni ILO sulla libertà di associazione, contrattazione collettiva e rappresentanza dei lavoratori

Chi è coinvolto?

Nel febbraio 2005 i lavoratori avevano eletto alla A-One un consiglio di fabbrica di 15 persone (Workers Representation and Welfare Committee – WRWC), com’era loro diritto secondo la legge vigente nella EPZ del Savar dal 2004. Il WRWC era stato approvato dalla Autorità della Export Processing Zone (BEPZA) il 4 aprile del 2005 e aveva portato in discussione alla direzione della A-One 13 punti da migliorare all’interno della fabbrica.

Il 18 agosto la direzione A-One aveva concordato su 12 delle 13 richieste sottoposte. Subito dopo le reali intenzioni dell’azienda sono divenute chiare. A metà settembre  la A-One ha cominciato a licenziare illegalmente i lavoratori e i membri del comitato: il 10 settembre sono stati licenziati 47 lavoratori mentre 9 membri del WRWC ricevevano minacce di morte per forzarli a dare le dimissioni; l’11 settembre, sono stati licenziati altri 80 lavoratori e il 10 di ottobre ulteriori 119. L’azienda non aveva pagato quanto dovuto ai lavoratori licenziati.

All’inizio di Ottobre del 2005 il Consiglio di Fabbrica aveva chiesto alla Clean Clothes Campaign (CCC) di contattare le imprese e le autorità bengalesi, incluse Bepza e Bepzia (Bangladesh Export Processing Zone Investors Association). Il WRWC era sostenuto da due federazioni sindacali tessili bengalesi NGWF e BIGUF, dal Bangladesh Center for Worker Solidarity e dal Solidarity Center Bangladesh.

Le richieste formulate dai lavoratori erano le seguenti:

– reintegrare i 255 lavoratori con il pagamento degli arretrati

– cessare qualunque forma di intimidazione del WRWC e dei lavoratori che lo sostenevano

– investigare sulle minacce rivolte ai lavoratori da parte del personale della A-One

– riconoscere il consiglio di fabbrica e costituire un tavolo negoziale

La CCC aveva contattato le imprese committenti (buyers) della A-One: le imprese tedesche  Tchibo e Miles, le imprese italiane Coin e Tessival e l’impresa olandese C&A. Tali imprese erano anche state contattate dall’American National Labor Committee (NLC) mentre il Solidarity center aveva contattato anche l’impresa statunitense Target (AMC). La CCC inoltre aveva scritto anche direttamente alla A-One, al Bepza, al Bepzia e a varie autorità governative. Anche il WRWC aveva scritto lettere a tutti i buyer, alla direzione A-One e al Bepza, che rifiutarono di incontrarli.

Da allora le CCC tedesca, italiana e olandese con il segretariato internazionale, insieme ad altri gruppi, sono stati costantemente in contatto con le diverse imprese coinvolte; si sono tenuti diversi incontri tra la direzione della A-One, alcuni committenti, i lavoratori  i sindacati locali e internazionale (ITGLWF). Sebbene alcune imprese, in particolare la Tchibo, abbiano fatto sforzi concreti e abbiano ufficialmente richiesto alla A-One di reintegrare tutti i lavoratori illegalmente licenziati o costretti alle dimissioni (mentre facevano presente che un rifiuto avrebbe avuto conseguenze negative per gli ordini futuri e invece il reintegro avrebbe favorito la A-One come fornitore preferito), tali richieste fino ad oggi non sono state esaudite.

Le recenti proteste dei lavoratori  in Bangladesh.

La CCC era in procinto di preparare una campagna pubblica sul caso A-one, quando sono giunte le informazioni sulle estese proteste in Bangladesh. La A-One era una delle imprese attaccata dai lavoratori, che hanno distrutto la mensa e parte dell’edificio. Vogliamo affermare con chiarezza che nonostante siano trascorsi molti mesi dal loro licenziamento illegale e nonostante loro abbiano subito molte minacce e azioni repressive, i lavoratori della A-One hanno sempre mantenuto un comportamento pacifico e costruttivo, pronti ad incontrare la direzione, i buyer e tutti gli altri soggetti in campo per fornire spiegazioni e fatti concreti. Questo comportamento è in aperto contrasto con quello della direzione A-One e delle autorità locali delle EPZ come emergerà chiaramente dal seguito di questa storia.

Il ruolo di Bepza e Bepzia

E’ evidente la corresponsabilità del Bepza nel negare ai lavoratori della A-One i loro diritti e nel cercare di ostacolare la legge vigente dal 2004 nelle EPZ, che permette la formazione di consigli di fabbrica (Workers Representation and Welfare Committees- WRWC) come primo passo verso l’attuazione  della libertà di associazione sindacale. Anche il Bepzia ha dato manforte, avendo fatto pressione per ostacolare l’affermazione delle regole vigenti e influenzando il Bepza e gli imprenditori su questo tema.

La CCC aveva contattato le autorità, BEPZA and BEPZIA, il 12 ottobre 2005. Il 31 ottobre il Bepza aveva spedito una lettera alla CCC negando l’esistenza di licenziamenti illegali e dichiarando che il lavoratori erano stati “aggressivi” e “indisciplinati”, che avevano fatto scioperi illegali e perciò erano stati licenziati. Essi dichiaravano anche che i 15 membri del WRWC si erano dimessi volontariamente. Il Bepza asseriva inoltre che i problemi alla A-One “erano cominciati in seguito alle agitazioni dei lavoratori alla Ringshine Textile” e che “ il consiglio di fabbrica della Ringshine Textile era manovrato da ONG e sindacati per istigare i membri del consiglio di fabbrica della A-One”In quel caso Bepza aveva disconosciuto l’accordo legittimo, firmato dai committenti, dalla direzione aziendale e dai rappresentanti dei lavoratori eletti alla Ringshine.

Le imprese committenti che avevano contattato il Bepza e il Bepzia, su richiesta della CCC, avevano ricevuto una versione più estesa della stessa lettera.

Il Bepza sosteneva che il WRWC non aveva seguito le procedure e che i licenziamenti erano legali. In risposta alle loro accuse, il WRCW aveva spedito un report dettagliato ai committenti nel quale emergevano le prove di una repressione sistematica e anche i tentativi fatti dal consiglio di fabbrica di seguire le “procedure” che il Bepza teoricamente intendeva preservare.

Il Bepza inoltre ha costantemente sostenuto nei riguardi dei buyers e degli altri soggetti in campo che non c’erano le condizioni legali per riassumere i lavoratori poiché essi avevano accettato di dimettersi. Questo non è corretto: la A-One ha il diritto e la possibilità di negoziare con il WRWC e insieme possono accordarsi per il reintegro di tutti i lavoratori. Il Bepza può anche permettere e favorire tale processo.

Disgraziatamente i buyers committenti sempre attribuito grande affidabilità al Bepza e si sono convinti che era effettivamente in corso un processo legale credibile per gestire la vertenza, e hanno ripetutamente evitato di agire in prima persona.

La risposta delle imprese committenti.

In ottobre e novembre 2005 le CCC dei paesi coinvolti nel caso hanno contattato le relative imprese committenti. Quella che segue è una panoramica delle loro risposte.

La C&A ha contattato sia la A-One che il Bepza in ottobre e diverse altre volte, ma ha sempre rifiutato di fornire copie della corrispondenza per metterci nelle condizioni di valutare quanta pressione reale sia stata effettivamente esercitata.

Nelle sue comunicazioni alla CCC, la C&A ha sempre sostenuto che i suoi ordini erano indirizzati a due fornitori coreani con l’ultima consegna a luglio del 2005, e pertanto non aveva strumenti legali o contrattuali su cui far leva nei confronti della A-One. La CCC ha ripetutamente spiegato che le violazioni verso il Consiglio di fabbrica erano avvenute quando la C&A aveva ordini in corso con la A-one, richiamando il loro codice di condotta che si estende a tutta la filiera produttiva.

Tchibo ha fatto un accordo con la società di audit CSCC per condurre un’ispezione a Novembre 2005; gli ispettori avevano riportato dati preoccupanti e documentati circa il lavoro straordinario e i bassi salari.

In un incontro con la CCC tedesca nel dicembre 2005 Tchibo aveva annunciato che avrebbe assunto la società di consulenza Systain per svolgere indagini in Bangladesh in Dicembre e poi per organizzare una missione in gennaio.

La CCC aveva fornito tutti i contatti degli altri committenti europei, nella speranza che essi potessero cooperare per aumentare il livello di pressione.

Tra dicembre 2005 e marzo 2006, sono stati organizzati diversi incontri prima tra la  Systain ( per conto di Tchibo e Miles), la A-One e i lavoratori. I committenti avevano suggerito “soluzioni” che non includevano il reintegro del WRWC, cosa chiaramente inaccettabile per i lavoratori. Alla fine, il 7 di marzo è stata firmata una dichiarazione di intesa da Tchibo e Miles insieme alla Systain, al Solidarity Center, l’ITGLWF (sindacato internazionale dei tessili) con il supporto dei sindacati locali e del WRWC.

La direzione A-One era presente all’incontro dove la dichiarazione di intesa fu elaborata, ma successivamente ha rifiutato di impegnarsi in quella direzione.

COIN/Oviesse è un distributore italiano che si approvvigionava  principalmente attraverso l’impresa italiana Tessival. Tessival possiede anche propri marchi, come Herod e Greenland, con  produzione affidata alla A-One. Dopo ripetute richieste a dicembre la COIN aveva finalmente incaricato il responsabile qualità di seguire il caso e Tessival aveva contattato la A-One, che aveva risposto che “tutto andava bene e i problemi erano risolti”. La Tessival in dicembre aveva prodotto un documento di ispezione coinvolgendo un proprio referente commerciale locale che puntava l’attenzione sui presunti disordini causati dai lavoratori (mentre ignorava i licenziamenti illegali) e che riprendeva molte delle precedenti dichiarazioni del Bepza. Da questo momento sia Tchibo che Miles (attraverso Systain) hanno confermato che violazioni molto serie e sostanziali erano in corso alla A-One, e alla Tessival fu richiesto di nuovo di cooperare. In febbraio anche Coin aveva dichiarato di avere richiesto alla Tessival maggiore impegno per risolvere il caso.

Il 22 di Febbraio l’American Solidarity Center ha spedito una e-mail a Target richiedendo di unirsi agli altri committenti in uno sforzo comune per implementare la dichiarazione di intesa del 7 Marzo. Target aveva dichiarato che non si era più rifornita dalla A-One e sebbene inizialmente sembrasse  avere intenzione di coordinarsi con gli altri marchi, non c’è stato alcun seguito.

La cronologia allegata fornisce un resoconto dettagliato delle azioni intraprese dalle varie parti in campo:

Leggi cronologia

Il ruolo della direzione A-One.

Le principali violazioni in questo caso riguardano la libertà di associazione sindacale, lunghi orari di lavoro e straordinario obbligatorio, salari minimi non rispettati e diverse altre violazioni della legge locale e dei codici di condotta.

L’ispezione commissionata da Tchibo, a novembre 2005 ha confermato quanto dichiarato dai lavoratori.

La direzione di A-One e il Bepza hanno continuato a dichiarare che i membri del WRWC si sono dimessi volontariamente,  I membri del WRWC hanno invece sempre dichiarato che sono stati forzati a firmare sotto costrizione (in un caso sotto la minaccia di un coltello) e lo hanno dichiarato fin dall’inizio della denuncia, immediatamente dopo le loro dimissioni. Essi hanno anche fornito un documento dettagliato sulle repressioni sistematiche nella già menzionata lettera del 17 novembre. E’ altrettanto importante sottolineare che l’impresa non ha mai fornito prove che i lavoratori fossero stati licenziati per cause diverse da quella di essersi organizzati; infatti la lettera del Bepza (spedita anche a noi e ai committenti dalla stessa A-One) di ottobre rende tutto molto chiaro. Nuove assunzioni inoltre sono cominciate il 20 di novembre mentre il 25 dello stesso mese almeno altri 50 nuovi  lavoratori erano stati licenziati.

L’unica comunicazione diretta che la CCC ha ricevuto dalla A-One è arrivata in dicembre, e consisteva nella copia della risposta inviata dal Bepza alla CCC. Quando i committenti hanno richiesto di fornire le prove dei pagamenti degli stipendi arretrati, la direzione di A-One non ha risposto.

In molte occasioni, la A-One ha fatto promesse poi mai mantenute, mentre i lavoratori hanno sempre fornito tutte le informazioni richieste, oltre a proposte ragionevoli e disponibilità all’accordo.

La situazione attuale

A seguito del rifiuto di A-One di attenersi alla dichiarazione di intesa del 7 marzo, il 7 aprile la Tchibo ha inviato la proposta di una “roadmap” indirizzata a tutte le parti sociali. Tale percorso include alcuni cambiamenti alla dichiarazione di intesa, come la richiesta di affidare l’indagine sulla effettiva illegalità dei licenziamenti del WRWC ad un comitato multilaterale.

Poiché  i committenti coinvolti avevano già fatto svolto indagini in merito e avevano concluso che i membri del WRWC dovevano essere reintegrati, una nuova indaginesu questo produrrebbe ulteriori ritardi. Dopo averne discusso con i lavoratori avvenute il 21 di aprile, la CCC ha risposto a Tchibo in questo senso sollecitando invece l’insediamento di un comitato multilaterale per seguire gli sviluppi del caso, soprattutto per coinvolgere le altre imprese ancora inattive.

Tale comitato dovrebbe lavorare sulla successiva applicazione dell’accordo raggiunto il 7 marzo 2006 e monitorare il pagamento delle spettanze ancora pendenti dal settembre 2005.

Una lettera separata è stata spedita il 22 aprile a tutte le imprese collettivamente, richiamandole principalmente alla necessità di contattare Tchibo per formare un’alleanza comune per raggiungere l’accordo.

Durante la prima settimana di maggio, l’ITGLWF ha tentato di  contattare la direzione di A-One e Tchibo (con Systain) per fissare un incontro, il tutto senza risultati. Nella seconda settimana di maggio, i lavoratori hanno dichiarato di avere perso ogni speranza e di sentirsi fortemente frustrati. A quella data, l’ultimo ordine di Tchibo era stato ultimato, mentre sono attualmente in produzione Herod e Greenland, marchi che appartengono alla Tessival.

Conclusioni.

Sebbene alcuni dei marchi, in particolare Tchibo, abbiano prodotto sforzi effettivi per tentare di trovare una soluzione, ciò è avvenuto solo dopo un lungo periodo (6 mesi) di inaccettabili ritardi, causati dal fatto che le imprese confidavano nel fatto che il Bepza seguisse il caso, nonostante nessuna delle procedure e degli organismi descritti nella legge delle EPZ per regolare le vertenze fosse operativa.

Le aziende con una seria politica di responsabilità sociale di impresa sanno molto bene che in Bangladesh le leggi che disciplinano il lavoro nelle EPZ sono disattese e che le persone incaricate della supervisione delle zone per l’esportazione sono le stesse che ne ostacolano da anni l’applicazione.

E’ pur vero che i committenti hanno talvolta ignorato i fatti e questo e sono stati cosi ingenui da pensare che la legge funzionasse, ma le prove presentate nel corso del caso da sole erano sufficienti a far capire che queste autorità non erano e non sono attendibili.

Tchibo è giunta a questa conclusione intorno a gennaio, ma ha speso purtroppo altri due mesi a proporre una “soluzione” che mirava ad affrontare i problemi per l’intera EPZ (in cooperazione con il Bepza), ma senza includere il reintegro dei lavoratori del WRWC alla A-One!

La CCC sostiene fortemente l’avvio di un processo ad ampio raggio nelle EPZ per il miglioramento delle condizioni di lavoro e in particolare per il rispetto della libertà di associazione. Questo processo comunque dovrà includere un accordo accettabile per il caso A-One. Tale accordo non è complicato, in alcun modo irragionevole o insostenibile in questo momento: il caso Ringshine dimostra che può essere fatto. E nei fatti un fallimento dell’accordo sul caso A-ONE significherebbe negare in parte il successo dell’accordo Ringshine. I lavoratori riceverebbero il messaggio che la legge non li protegge e che al contrario rischiano di perdere il lavoro e subire pesanti intimidazioni, se  tentano di esercitare i loro diritti.

Dopo le ultime settimane di protesta, che hanno avuto per conseguenza anche la distruzione della mensa della A-One, molte organizzazioni hanno richiesto alle autorità di investigare e affrontare le cause alla radice dei disordini.

Le cause sono da ricercare nella mancanza del rispetto dei diritti dei lavoratori a formare e iscriversi al sindacato liberamente e a leggere rappresentanze sindacali.

Il fallimento nell’implementazione della legge nelle EPZ, dei codici di condotta in maniera significativa quando si tratta di liberta di associazione, orario di lavoro e salari e la non volontà dei committenti ad agire concretamente, velocemente e collettivamente di fronte a vertenze serie come questa,  sono considerarsi tra le cause primarie dei gravi disordini in corso.

AGITE  IMMEDIATAMENTE

Contattate subito Coin, Tessival, C&A e Target  per chiedere loro di:

– lavorare con Tchiboe Miles per applicare l’accordo raggiunto il 7 marzo 2006, incluso il reintegro di tutti i lavoratori licenziati e costretti alle dimissioni

– informare ufficialmente la A-One che il rifiuto di attenersi all’accordo avrà come esito la cessazione degli ordini attuali e futuri mentre il raggiungimento dell’accordo consentirà alla A-One di venire considerata prioritariamente nella lista dei fornitori

– assicurarsi che i lavoratori ricevano le spettanze pendenti dal settembre 2005

– contattare Bepza e Bepzia per chiedere che assicurino le condizioni per il raggiungimento di un accordo pacifico alla A-One e lavorino per la piena attuazione della legge in vigore dal 2004 nelle EPZ

– Invino copia delle comunicazioni alla CCC

==============================================

Nelle prossime settimane la CCC inviterà tutte le imprese che si riforniscono nelle EPZ del Bangladesh a contattare il Bepza e il Bepzia per chiedere loro di assicurare una soluzione per il caso A-One e il rispetto della legge. Le imprese dovrebbero anche agire attivamente per assicurare che i propri fornitori nelle zone rispettino la legge e  permettano ai consigli di fabbrica di essere eletti e operare liberamente. Dovrebbero anche fare passi avanti per sostenere lo sviluppo di sane relazioni industriali.

Vi terremo informati sulle risposte delle imprese e se necessario vi chiederemo di mobilitarvi per sostenerci ancora.

CRONOLOGIA DEI FATTI

Febbraio 2005

Viene eletto alla A-One un consiglio di fabbrica (Workers Representation and Welfare Committee / WRWC) con 15 delegati.

4 aprile 2005

Il WRWC ottiene il riconoscimento dell’ente governativo responsabile delle zone per l’esportazione del Bangladesh (Bangladesh Export Processing Zone Authority / BEPZA)

4 luglio 2005

Il WRWC discute le sue richieste con la direzione aziendale.

18 agosto 2005

La direzione accetta di prendere provvedimenti in merito a 12 delle 13 richieste formulate dal WRWC.

10 settembre 2005

47 lavoratori vengono licenziati e 9 delegati del WRWC sono minacciati di morte per indurli alle dimissioni.

11 settembre 2005

80 lavoratori vengono licenziati.

1 ottobre 2005

Altri 119 lavoratori vengono licenziati.

Ottobre 2005 – diverse date

La Clean Clothes Campaign prende contatti con le imprese committenti della A-One.

12 ottobre 2005

La Clean Clothes Campaign prende contatti con BEPZA e BEPZIA

17 novembre 2005

Il WRWC scrive la sua urgente “richiesta ai rappresentanti delle imprese proprietarie dei marchi affinché intervengano per far cessare le violazioni delle norme del lavoro in essere nelle zone per l’esportazione e le violazioni dei [loro] codici di condotta e delle [loro] politiche di responsabilità sociale operate dal fornitore A-One”.

20 novembre 2005

Nuove assunzioni alla A-One.

? Novembre 2005

Un audit commissionato da Tchibo trova riscontri di abuso del lavoro straordinario e di bassi salari.

14 dicembre 2005

L’incontro con un rappresentante di Systain accende la speranza di una soluzione imminente fra i delegati del WRWC e i lavoratori licenziati. Ma è grande la delusione nell’apprendere che occorrerà aspettare fino alla terza settimana di gennaio quando la mancanza di denaro avrà impedito a tutti di far rientro a casa per l’Eid, la più importante festa musulmana dell’anno. Si lavora per venire a capo almeno delle questioni tecniche relative alle spettanze da riscuotere: arretrati salariali, indennità di licenziamento, premi, liquidazioni dal fondo di previdenza (istituito solo nel novembre 2005 pur essendo obbligatorio per le aziende insediate nelle EPZ), e poterle comunicare a Systain/Tchibo.

28 dicembre 2005

I lavoratori inviano a Tchibo l’elenco delle persone che sono state licenziate o si sono “dimesse volontariamente” con un calcolo dettagliato dei compensi dovuti e una serie precisa di richieste:

–         pagamento delle retribuzioni maturate da settembre 2005, gratifiche per le festività;

–         riconoscimento a tutti i lavoratori licenziati delle gratifiche per festività;

–         nessuno deve essere indotto a sottoscrivere una lettera di licenziamento in cambio dei compensi a cui ha diritto;

–         le somme dovute devono essere corrisposte entro gennaio 2006, e comunque prima dell’inizio della festa dell’Eid

30 dicembre 2005

I lavoratori formulano delle ipotesi di accordo elaborate sulla scorta dell’esperienza sulla composizione delle vertenze maturata nel caso Ringshine, procedure per le future relazioni fra il WRWC e la A-One, procedure per la presentazione di denunce da parte dei lavoratori, procedure per l’applicazione dei provvedimenti disciplinari.

 

6 gennaio 2006

Tchibo propone un accordo finalizzato solo al pagamento della gratifica per l’Eid rinviando a data da destinarsi il resto delle questioni aperte, proposta che non incontra il favore dei lavoratori, restii ad accettare soluzioni temporanee senza precise garanzie sul futuro delle trattative. Ciò è anche dovuto al fatto che Tchibo valuta in maniera diversa i dati sui salari, basati sui minimi dichiarati dal BEPZA, piuttosto che su quelli effettivamente corrisposti

8 gennaio 2006

Si svolge un incontro fra la direzione di A-One, Miles, la BEPZA e il Solidarity Center, nel corso del quale A-One rifiuta inizialmente di riassumere i lavoratori licenziati. Accetta infine il ritorno di “alcuni” ma non tutti, e di pagare per gli altri i compensi dovuti. Per un’organizzazione sindacale si tratta di un’ipotesi selettiva inaccettabile e che potrebbe stare in piedi solo nell’eventualità che la direzione producesse per i lavoratori destinati all’espulsione prove credibili di gravi inadempienze compiute, punibili con il licenziamento, e provvedesse a saldare le loro spettanze nel modo più corretto e completo.

23 e 25 gennaio 2006

Le parti si erano accordate per tenere un “incontro tecnico” nella terza settimana di gennaio alla presenza di un delegato del WRWC allo scopo di valutare la congruità delle somme corrisposte ai lavoratori licenziati. In caso di difformità, A-One si era impegnata a liquidare per intero il dovuto. I lavoratori chiariscono che non rinunciano con questo a rivendicare il diritto ad essere reintegrati. Se ciò avverrà, restituiranno alla A-One tutte le indennità percepite. Si svolgono due incontri nel corso dei quali la direzione della A-One rifiuta di fornire le informazioni richieste.

16 febbraio 2006

Tchibo, Miles e Systain presentano ai lavoratori due alternative (una con previsione di reintegro, l’altra senza) chiedendo il loro parere su quale proporre alla direzione della A-One e manifestando nuovamente il timore di una chiusura imminente.

20 febbraio 2006

I lavoratori ribadiscono che non intendono scostarsi dalle loro richieste: reintegro nel posto di lavoro, spettanze dovute a partire dal giorno del licenziamento, attuazione delle ipotesi di accordo presentate in dicembre, che contengono indicazioni per migliorare le relazioni industriali e la formazione.

22 febbraio 2006

Tchibo comunica a A-One la risposta dei lavoratori e invia copia della lettera alla Clean Clothes Campaign. Tessival invia una comunicazione analoga, C&A assicura di averlo fatto a sua volta, ma rifiuta di fornire copia della lettera alla CCC, rendendo così difficile accertarne il tenore. Target (AMC) si sottrae al confronto malgrado i tentativi fatti dal Solidarity Center di stabilire un contatto con l’azienda.

7 marzo 2006

Viene stesa una dichiarazione di intenti al termine di un incontro fra Systain, Solidarity Center, direzione di A-One e ITGLWF (sindacato internazionale dei lavoratori del tessile-abbigliamento) sottoscritta da tutte le parti ad esclusione di A-One, il cui rappresentante si riserva una valutazione nel consiglio di amministrazione. Il documento definisce i parametri negoziali (non è un accordo). A-One si impegna anche a corrispondere a 74 lavoratori le retribuzioni del mese di settembre e le indennità nel frattempo maturate. Questi lavoratori non erano stati liquidati a tempo debito poiché A-One pretendeva che sottoscrivessero una lettera “liberatoria”. Systain e il coordinatore dell’ufficio legale del Solidarity Center si propongono come osservatori per monitorare fisicamente l’effettuazione dei pagamenti. La data fissata e’ il 15 marzo.

15 marzo 2006

La direzione della A-One cerca di indurre i lavoratori che si presentano per riscuotere le spettanze ad accettare di essere liquidati per dimissioni anziché ricevere il trattamento economico previsto dalla legge e dalle norme prescritte dalla BEPZA. Accettare questa forma di pagamento equivarrebbe a una manifestazione di consenso al licenziamento, proprio ciò che i lavoratori non vogliono. La direzione aziendale non risponde a Tchibo/Miles a proposito della dichiarazione di intenti.

Primi di aprile 2006

Systain riferisce che la direzione di A-One rifiuta di reintegrare i delegati del WRWC, mostrandosi disposta a correre il rischio di perdere le commesse di Tchibo e di Miles. Systain comunica ancora una volta ai sindacati e ai gruppi in campo che raccomanda la riassunzione per tutti i lavoratori sindacalizzati ma non per i delegati del WRWC.

5 aprile 2006

Il Solidarity Center ribadisce nuovamente la volontà dei lavoratori di tener fede alle loro richieste e per i delegati del WRWC, una volta reintegrati, di restituire l’indennità di licenziamento che hanno accettato in stato di costrizione.

7 aprile 2006

Tchibo diffonde a tutte le parti in causa una proposta di “roadmap”.

21 aprile 2006

La CCC replica a Tchibo che nella fase attuale un’ulteriore indagine per accertare se i delegati del WRWC siano stati allontanati in modo legale o illegale sarebbe improduttiva.

22 aprile 2006

Lettera della CCC a tutte le imprese committenti per invitarle a contattare Tchibo e a formare insieme ad essa un’alleanza finalizzata ad ottenere gli obiettivi perseguiti dai lavoratori. Le si sollecita a rivolgersi a BEPZA e BEPZIA per manifestare preoccupazioni a tale proposito, e a sollevare il caso della A-One in seno al MFA Forum.

27 aprile 2006

Le organizzazioni sindacali inviano una lettera alla Banca Mondiale, con copia a varie ambasciate e altri organismi internazionali, per sollecitare un intervento in favore della risoluzione della vertenza.