La tragedia che ha colpito la Spectrum Sweater Ltd  e l’annessa Shahriar Fabrics Ltd è solo l’ultimo degli incidenti mortali frutto dell’inosservanza delle misure di sicurezza che fanno strage ogni anno in Bangladesh nelle fabbriche produttrici di abbigliamento e tessuti per l’esportazione (50 morti nel 2000 alla Choudury Knitwear, 24 morti nel 2001 alla Maico Sweater, 9 morti nel 2004 alla Misco Supermarket, 23 morti alla Shan Knitting nel 2005).  L’edificio sorgeva su un terreno acquitrinoso ed era stato costruito sole tre anni fa in modo abusivo con tecniche e materiali inadatti a sostenere l’altezza della struttura e il carico di macchinari industriali. Testimoni riferiscono che sedici ore prima del crollo gli operai avevano dato l’allarme osservando delle crepe aprirsi nei muri ma erano stati invitati a riprendere il lavoro. Resta ancora da chiarire se il proprietario avesse un permesso per effettuare lavoro notturno, che veniva comunque svolto anche dalle donne in violazione della legge del lavoro del Bangladesh.

Varie fonti riferiscono di numerose altre violazioni della legge del lavoro:

–    un operaio morto tre giorni prima del crollo per le ustioni riportate dal contatto con liquido fuoriuscito da un macchinario per tintura difettoso; un’operaia ridotta in fin di vita tre mesi prima dalle scariche prodotte dai fili scoperti dell’impianto elettrico;

–    salari al di sotto del minimo legale: alla Spectrum si pagavano 700 Taka al mese (10 euro) contro i 930 di legge già di per sé al di sotto dei livelli di sussistenza;

–    settimane lavorative di sette giorni senza il venerdì di riposo prescritto dalla legge.

Tutto questo è  in netto contrasto sia con gli obblighi di vigilanza che fanno capo alle autorità locali sia con le procedure di verifica dell’applicazione dei codici di condotta di cui  imprese come Zara, Carrefour, Karstadt Quelle e Cotton Group si sarebbero dotate.

Il proprietario della Spectrum Sweater e della Shahriar Fabrics, Shahriar Saeed, e il direttore della Spectrum Sweater, Altaf Fakir, si trovano attualmente in carcere in attesa che il giudice si pronunci sulla loro richiesta di rilascio su cauzione.

RICHIESTE ALLE IMPRESE COMMITTENTI

Una volte identificate le imprese proprietarie dei marchi, la Clean Clothes Campaign, in accordo con le organizzazioni partner e i sindacati in Bangladesh, ha rivolto loro le seguenti richieste:

1.    Assistenza e risarcimento:  sostegno alle operazioni di soccorso e di estrazione dalle macerie delle vittime e dei sopravvissuti; risarcimento alle famiglie delle vittime nell’ordine di 200.000 taka (circa 2.443 euro) e di 50.000  ai feriti oltre alle cure mediche; pagamento dei salari arretrati di marzo e aprile, e degli straordinari effettuati in febbraio, marzo, aprile; garanzia del posto di lavoro, salario e risarcimento inclusi, ai lavoratori sopravvissuti. Si chiede alle imprese di prendere contatto con le organizzazioni sindacali e umanitarie locali.

2.    Indagini complete, indipendenti e trasparenti con il coinvolgimento di organizzazioni locali serie e autorevoli che esaminino le responsabilità del governo, delle associazioni di categoria locali e delle imprese committenti nel non aver impedito o posto rimedio alle violazioni delle leggi edilizie e del lavoro. Agli acquirenti europei della Spectrum Sweater che hanno codici di condotta completi di programmi di verifica a tutela del diritto alla salute e alla sicurezza sul lavoro si chiede di rendere pubblici i risultati delle ispezioni periodiche condotte sul posto. All’Associazione dei produttori ed esportatori di abbigliamento del Bangladesh (BGMEA) si chiede di rendere pubblici i rapporti ispettivi che attestano l’adesione della Spectrum Sweater al programma antincendio adottato dalla BGMEA. Deve essere stilata una lista completa delle vittime e i risultati delle indagini svolte devono essere resi di pubblico dominio.

3.    Misure per la revisione della sicurezza degli edifici e per il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro:  il crollo della Spectrum Sweater è solo l’ultimo di una lunga serie di eventi luttuosi nell’industria dell’abbigliamento del Bangladesh (50 morti nel 2000 alla Choudury Knitwear, 24 morti nel 2001 alla Maico Sweater, 9 morti nel 2004 alla Misco Supermarket, 23 morti alla Shan Knitting nel 2005). Occorre impedire che diventi luogo comune associare il sacrificio di vite umane alla produzione di capi di abbigliamento a basso costo per i mercati occidentali. Si chiede al settore industriale, in collaborazione con organismi pubblici nazionali e internazionali, di impegnarsi con urgenza a favore di un programma di prevenzione che comprenda una  revisione radicale delle strutture che ospitano gli stabilimenti, specie quelli a più piani, e la revisione dei relativi meccanismi ispettivi. La Clean Clothes Campaign raccomanda la creazione di un comitato internazionale e indipendente di vigilanza con il compito di esaminare le norme di salute  e sicurezza nei luoghi di lavoro e la loro effettiva applicazione. Del comitato dovrebbero far parte esperti in ingegneria civile, salute e sicurezza, norme del lavoro. Oltre a occuparsi di questioni tecniche, il comitato dovrebbe attivare l’accesso a canali di comunicazione riservati e sicuri attraverso i quali sia possibile ai lavoratori far pervenire ai datori di lavoro segnalazioni inerenti a questioni cruciali come la salute e la sicurezza.

4.    Dialogo con gli stakeholder locali (Bangladesh Independent Garment Workers’ Union Federation (BIGUF), Bangladesh Textile and Garment Workers League (BTGWL), National Garment Workers Federation (NGWF) e l’organizzazione Karmojibi Nari) su tutte le questioni aperte, compreso l’ammontare del risarcimento (alcune organizzazioni chiedono che l’importo sia innalzato a 1 milione di  alle famiglie delle vittime).

5.    Misure di prevenzione nell’area circostante:  La Clean Clothes Campaign nutre il fondato timore che, a causa di difetti progettuali e costruttivi, corrano rischi di crollo altri stabilimenti nelle vicinanze della Spectrum Sweater, area storicamente soggetta a innondazioni. Chiede alle imprese che si riforniscono in questa e in altre aree a rischio di mettersi immediatamente in contatto con i propri fornitori per accertare che gli edifici siano sani, costruiti nella legalità e che ai lavoratori siano garantiti adeguati livelli di tutela.

LA RISPOSTA DELLE IMPRESE

Carrefour ha assunto inizialmente un atteggiamento di chiusura accettando alla fine di prendere contatto con due organizzazioni del Bangladesh con le quali aveva intrattenuto rapporti. Una di queste, Karmojibi Nari (organizzazione a difesa dei diritti delle donne), che è partner della Clean Clothes Campaign, riferisce però di non aver ricevuto finora alcuna comunicazione da parte di Carrefour. C’è inoltre da interrogarsi sulla serietà e sulla credibilità di ispezioni che Carrefour sostiene di aver svolto periodicamente con risultati soddisfacenti. Queste non solo non sono state in grado di cogliere segnali della tragedia incombente ma neppure di accertare la serie di violazioni dei diritti sindacali di cui abbiamo riferito. La spagnola Zara ha reagito prontamente offrendo sostegno alle operazioni di soccorso della Mezzaluna rossa e si è impegnata a mantenere aperto il dialogo con la Campagna spagnola pur non prendendo impegni concreti per il futuro. Alcuni marchi (la tedesca Neckermann e l’olandese Scapino) inviavano ordini attraverso la catena di distribuzione tedesca Karstadt Quelle. Queste tre imprese, insieme a Zara, alla belga Cotton Group e a Steillmann, aderiscono alla Business Social Compliance Initiative (BSCI), un organismo per il monitoraggio dei codici di condotta di recente formazione, che opera in rappresentanza di 40 distributori europei, il cui scopo è armonizzare le pratiche ispettive avvalendosi esclusivamente di società di certificazione accreditate da SA8000 e condividendo al proprio interno i risultati delle ispezioni. La cosa curiosa è che nessuna delle imprese coinvolte aderente a BSCI disponeva di informazioni sulle condizioni di lavoro alla Spectrum Sweater.

BSCI ha affidato a una piccola agenzia di consulenza tedesca con sede in Bangladesh il compito di svolgere un’indagine per suo conto e si è impegnata a inviare propri rappresentanti sul posto solo nel mese di giugno, a quasi due mesi dalla tragedia, mentre continua a non dare risposta alle tre richieste principali formulate dalla Clean Clothes Campaign insieme alle organizzazioni sindacali e umanitarie locali in merito ai soccorsi, al risarcimento e a un’indagine indipendente. Nel frattempo i lavoratori sopravvissuti della Spectrum Sweater e della Shahriar Fabrics sono senza lavoro, devono sostenere tutte le spese per cure mediche e non hanno ricevuto i salari e gli straordinari arretrati. L’Associazione dei produttori ed esportatori di abbigliamento del Bangladesh (BGMEA) ha versato 100 mila  ad alcune famiglie delle vittime, una cifra notevolmente inferiore a quella richiesta dai sindacati, e rifiuta di risarcire i feriti. Carrefour e BGMEA hanno già svolto le loro indagini, ma non hanno reso pubblici i risultati.

Continuano intanto le proteste dei lavoratori a Dhaka con manifestazioni, catene umane e scioperi della fame per chiedere al governo di fare giustizia.

La Clean Clothes Campaign continuerà a seguire il caso in collaborazione con i suoi partner in Bangladesh e a mantenere alta la pressione sulle imprese europee.

Vi informeremo di ogni ulteriore sviluppo o di iniziative che richiedono il vostro sostegno.