report_uk«Nel contesto di crisi globale che stiamo attraversando, spesso sono i più deboli a pagare il conto più salato. E l’industria della moda è un ottimo esempio di questa tendenza». È questa la conclusione principale cui sono giunti Anna McMullen and Sam Maher redigendo la quinta edizione del  report Let’s Clean Up Fashion 2011. The state of pay behind the UK high street.


«Nonostante il settore registri ancora enormi profitti, I salari di milioni di donne e uomini impiegati crollano costantemente. Questo vuol dire che migliaia di persone lottano quotidianamente per sopravvivere, per vestirsi, per avere un riparo. Questo stato di cose è ancora più deludente perché la maggior parte di questi rivenditori si sono impegnati a garantire un salario di sussistenza per i lavoratori delle loro catene di fornitura. Infatti, sono in corso molti progetti in tal senso da diversi anni ma, come la situazione reale sul terreno mostra, tali impegni non stanno fornendo i risultati sperati. Certo è che la ricerca disperata da parte dei brand di prezzi sempre più bassi per produrre, favorisce la nascita di un circolo vizioso, in cui gli stessi governi e lavoratori spesso sono disposti ad accettare violazioni dei propri diritti pur di non allontanare le imprese e continuare a lavorare.

Per questo è fondamentale che i brand si impegnino a pagare ai propri fornitori un prezzo sufficiente a garantire salari dignitosi a tutti i lavoratori. Facendolo fornirebbero un messaggio chiaro sull’importanza dei diritti al di là dei profitti».

Come risulta dal report, molte imprese suggeriscono che siano i lavoratori stessi a definire il salario minimo di sopravvivenza. Ma in molti casi i lavoratori già lo fanno; in Bangladesh, Cambogia, Lesotho e moltissimi altri luoghi si sono susseguite in questi anni manifestazioni che chiedevano aumenti salariali. Il risultato? Quando va bene vengono ignorati;  altre volte perdono il posto, vengono  arrestati e malmenati. Le aziende devono fare di più per garantire il rispetto dei diritti sindacali nel tentativo di fornire un salario di sussistenza per i lavoratori tessili. Finché questi diritti continuano ad essere violati da parte dei governi, dei datori di lavoro e dei marchi, i lavoratori saranno messi a tacere e sarà lasciata aperta la strada a uno sfruttamento sempre più selvaggio.

Il report, come sempre, fotografa egregiamente la situazione dei principali brand monitorati, fornendo un profilo dettagliato su ciascuno di loro e attribuendo un grado numerico per identificare velocemente lo stato di sviluppo dei loro progetti. Il confronto con i report degli anni passati è tutt’altro che incoraggiante: pur rilevando i progressi fatti da alcuni dei marchi coinvolti, la maggior parte di loro procede troppo lentamente.

«Nel 2011 il salario dignitoso nell’industria tessile resta un sogno lontano per molti lavoratori che producono i nostri abiti. È ora che i brand e i rivenditori smettano di parlare e inizino ad agire seriamente sui temi che contano davvero».